L’esperienza del centro estivo la Città Rifugio è da poco terminata e con la fine di questo percorso si apre una riflessione sul ruolo della scuola e sull’importanza dell’educazione che per noi non è più procrastinabile.
Dopo mesi di impossibilità ad uscire dalle proprie case, di poter andare ogni mattina nelle scuole e nelle proprie aule, di poter incontrare e crescere insieme ad altre ed altri pari, due settimane fa tantissimi bambini hanno attraversato gli spazi di Làbas e dell’Arena Orfeonica.
Hanno fatto esperienza di attraversamento dello spazio pubblico in modo consapevole. Hanno fatto parte in modo attivo di un progetto di prossimità. Hanno rincontrato gli sguardi di altri bambini e bambine che per tante settimane sono state chiuse in casa.
Hanno intrapreso un viaggio alla scoperta dei luoghi, dei giardini più segreti e nascosti della città. La sera hanno visto insieme i film all’aperto.
I nostri spazi sono stati riaperti per accoglierli, gli stessi spazi che sono adiacenti alle aule di scuole elementari e medie. Spazi che un tempo erano le aule di laboratori scolastici che estendevano nel territorio il concetto di educazione e di cura della comunità. Spazi vicini a quelle aule che ormai da troppi mesi sono vuote e silenziose.
Durante il centro estivo abbiamo fatto rumore, abbiamo cantato, anche per dire che non ne possiamo più di stare chiusi nelle nostre case, non ne possiamo più del silenzio delle aule vuote. Che uscire è possibile ma che per farlo è necessario ritrovarci, vederci e parlarci.
Ritrovarci in sicurezza era una delle sfide e lo rimane tutt’ora. Non si può sfuggire a questo confronto che riguarda l’intera comunità educante. Non si può delegare a qualche educatore o insegnante volenteroso l’assunzione del rischio sulla salute per far sì che vi sia una continuità didattica, ma allo stesso tempo non si può pensare che i problemi di sicurezza possano essere risolti all’interno di una struttura fisica e burocratica stretta senza coinvolgere chi l’educazione la vive e la pratica tutti i giorni. Servono soldi, assunzioni e soprattutto un largo dibattito che coinvolga tutti i soggetti educanti.
È questo il tempo per iniziare a parlare di una scuola pubblica, cioè libera e gratuita, ma non statale, cioè lenta, burocratizzata, verticistica e aziendalizzata. È questo il tempo di nuove assunzioni e ristrutturazioni, ma è anche il tempo per aprirsi a nuovi soggetti e a nuovi spazi dell’educazione, per estendere le pratiche educanti di prossimità diffuse nel territorio. Ci riferiamo alle capacità che il meglio della scuola pubblica e il meglio delle reti di comunità hanno avuto durante l’emergenza Covid-19 nel ridefinire l’educazione e gli spazi di vita delle città. Nel riagganciare ragazzi e ragazze dispersi. Nel non rassegnarsi ai limiti invalicabili della DAD. Nel bussare a casa quando ce n’è stato bisogno e nel ritrovarsi di persona, in sicurezza, non appena è stato possibile farlo.
Noi vorremmo che i centri estivi, i doposcuola di condominio, il sostegno che migliaia di educatori hanno dato formalmente e informalmente a ragazzi in difficoltà e le esperienze di scuola clandestina come quella che abbiamo portato avanti durante il lockdown non rimanessero più tali, cioè segrete e sprovviste di mezzi, ma potessero fare da modello nel momento in cui l’emergenza si rivelasse non affatto conclusa.
Anche per quanto riguarda la scuola, infatti, siamo ancora in piena era Covid-19. E lo saremo almeno finché non si inizierà un confronto sensato su una scuola pubblica potenziata, estesa, e non dimezzata.
Il confronto è difficile, sia sul piano locale ma soprattutto con una struttura statale a tratti impenetrabile. Se sul piano locale siamo convinti che si possa dar seguito a percorsi comuni in forma inaspettata, e siamo qui per farlo, sul piano generale vediamo come l’affermazione di una prospettiva di comune interesse per ridare priorità alla scuola stia passando attraverso un conflitto che si rende sempre più acuto e dagli esiti non scritti.
Un conflitto che, come per la salute e per ogni forma di welfare, riguarda larghe fette della società, se non proprio tutta, e potrà essere lo spazio intorno a cui far emergere nuove prospettive comuni.
Noi ripartiamo da questo conflitto per ripensare le nostre attività che riprenderanno vita da settembre. Doposcuola, sostegno alle difficoltà educative, psicologiche, relazionali. Laboratori per crescere bene insieme e per riagganciare nei percorsi formativi i tantissimi dispersi, forme auto-organizzate di sostegno per garantire una continuità educativa anche nei periodi di chiusura della scuola, università popolari e doposcuola clandestini.
Sono queste le pratiche di prossimità per la costruzione di comunità educanti che oggi, come non mai, sono anche pratiche di lotta per un mondo migliore.
