“Nella nostra giustizia si sospetta più che si prova, si minaccia più che si punisce, si incrimina più che si giudica.” D. T.
Liberiamo Bologna!
La citazione, scritta cinquant’anni fa, è di un magistrato ed è stata riportata da un altro magistrato all’apertura della stagione politica del TPO. Sono parole precise, di grande attualità: una giustizia che non arriva mai, che non coincide con la legge, che distribuisce sanzioni prima dei processi, che restringe libertà personali preventivamente.
Il clima a Bologna è rigido e si prevedono ulteriori rovesci. Il dato è semplice: qualcuno in città ha deciso di giocarsi una partita tutta politica sulla nostra pelle, sicuramente facendo male i propri conti. Le ultimissime misure cautelari colpiscono attivisti che nei mesi scorsi, in varie occasioni, hanno manifestato al servizio di istanze sociali e democratiche, sulle quali oggi ricomincia l’esercizio di storytelling viziato e tanto alla moda. D’altronde i lavoratori del Colosseo che scioperano sono narrati come irresponsabili che interrompono il servizio pubblico del turismo provocando gravi danni alla cultura (quasi inficiando la strenua lotta del governo e della politica tutta per la difesa del nostro vasto patrimonio culturale); ugualmente il 18 ottobre Bologna è stata “saccheggiata” da barbari delinquenti; oppure il 18 giugno decine di persone, sgomberate militarmente da uno stabile degradato da loro ristrutturato e reso abitabile, hanno “bivaccato” sui viali cittadini.
Di nuovo strali velenosi si levano dai giornali, subito sostenuti da alcuni esponenti politici: “quanta violenza!”, “basta difendere i criminali”, seguendo la nota logica di sbattere il mostro in prima pagina o nella galleria fotografica.
Da quando il primo provvedimento ha colpito Gianmarco, stiamo scrivendo e discutendo di un argomento preciso: dov’è la politica? Chi governa la città? Quali equilibri sono saltati? Che ruolo ha il dissenso in democrazia?
Le recenti misure cautelari, arrivate ad un anno dai fatti, contengono un messaggio: stiamo dando fastidio e nelle stanze dei bottoni si è pensato di punirci proprio per questo. Oppure, meglio ancora, si è pensato di sacrificare noi sull’altare della debolezza politica dell’amministrazione cittadina. Il capro espiatorio da immolare per far capire chi comanda, per dimostrare che la Questura e la Procura hanno completa libertà di azione. La dimostrazione di quanto scriviamo, sulla quale i giornali forse hanno speso poche battute, è l’inaudita aggressività con cui questi provvedimenti sono stati eseguiti: andare a prelevare Gianmarco all’interno della propria attività piena, presentarsi con irruenza nella casa di un altro compagno e trattarlo come un pericoloso criminale paventando la possibilità di ammanettarlo è un sintomo del male di cui stiamo parlando da giorni.
Su temi così importanti, la città intera, disponibile e attenta ai diritti e alla partecipazione, si dovrebbe interrogare. Dove vogliamo posizionare il dissenso e l’attività politica dal basso? Non possiamo lasciarli sui tavoli dei magistrati e dei pm, che li gestiranno come strumenti di governo del nostro territorio. Davanti a bisogni sociali inevasi dalla politica è il momento di ridefinire il dibattito cittadino mettendo al centro tutto ciò. La conflittualità è motore di avanzamento della democrazia, poiché crea nuova norma che sancirà nuovi diritti, nonostante viviamo un tempo in cui anche quelli più basilari sono erosi.
La guerra politica fra i poteri cittadini è evidentemente in corso, e forse qualcuno si illude che le carte dei magistrati e le intimidazioni giudiziarie ci possano distogliere dagli impegni che abbiamo. Si crede di aver trovato l’incudine da battere per spostare a destra il governo della città, immaginando anche di provocare reazioni scomposte per misurare le nostre “reali intenzioni”.
In realtà il nostro sguardo è già altrove e punta dritto al cuore del problema: riempire il vuoto lasciato da una politica vecchia e incapace di parlare dei veri bisogni e desideri della città. Non esistono scorciatoie o soluzioni precostituite, il passato è alle spalle e tocca sperimentare nuove forme di partecipazione dove a prendere parola sia chi quotidianamente lotta per una Bologna migliore. Apriamo i nostri orizzonti, l’Europa ci offre suggestioni interessanti, l’esempio di Barcellona è sotto gli occhi di tutti. Chi dal basso costruisce alternative concrete alla crisi deve riprendere finalmente in mano il governo delle proprie vite.
Sicuramente rifiutiamo di essere i personaggi del romanzo poliziesco che si sta intessendo: non viviamo di intenzioni, non abbiamo ombre, come testimoniano la nostra progettualità e l’esistenza ventennale del TPO; l’eresia e la capacità di cambiare rotte, elementi costitutivi di quello che siamo, provocano difficoltà a chi ricorre a strumenti di lettura sfocati. Le nostre ambizioni volano più in alto, sfuggono ai dispositivi discorsivi e giudiziari, messi in campo.
Invitiamo tutti e tutte a partecipare al corteo cittadino di sabato 26 settembre indetto dalla campagna Libertà di dimora, perché riprendersi le strade può essere un piccolo passo per dire forte e chiaro: liberiamo Bologna! Liberiamo la nostra città dalla cattiva politica, quella che si ritrae nel silenzio o nella corruzione; liberiamola dagli abusi di potere di chi pretende di decidere senza la dialettica del confronto democratico; liberiamo Bologna dal malaffare, quello degli appalti truccati e dello sfruttamento. È tempo di costruire democrazia.