LA STORIA DI EUGENIA

Ho lottato tutta la vita per arrivare finalmente a sentirmi indipendente.

Sono nata nel profondo sud della penisola e, fin da quando ero piccola, ho sempre avuto un sogno: lavorare con e nell’arte. Avete presente quella sensazione? Quella di vivere in un mondo ormai talmente tanto svuotato da ogni significato, da ogni senso di giustizia e verità che solo nel mondo così immobile e dinamico allo stesso tempo dell’espressione artistica, sentire quella possibilità di riscatto e comunicazione con il resto.

Dopo anni di sacrifici per poter avanzare con i miei studi e per poter divenire una ‘professionista’ in questo campo, ho finalmente all’inizio di quest’anno intrapreso un lavoro come mediatrice culturale in un museo della città di Bologna e così facendo avevo anche la possibilità di continuare a pagarmi gli studi in una scuola di specializzazione.

Dio, sentivo finalmente di aver raggiunto un obiettivo, e questo mi faceva sentire libera. In questo periodo di massima felicità, il nostro mondo è stato colpito da una pandemia che ogni giorno, dal suo inizio, ci ricorda quanto siamo vulnerabili come individualità, collettività e quanto tutto il sistema politico, economico in cui viviamo lo sia ancor di più. Oltre a dover fare i conti con un mondo in crisi da cui non sappiamo come e se ne uscirà, è dal 23 febbraio che non mi è più concesso andare a lavoro e percepire quel reddito che mi manteneva viva. Oggi, dopo un mese, mi sembra di essere tornata a quando ero piccola: chiusa in casa, con la stessa speranza di poter raggiungere quel sogno che tanto avevo inseguito e con la stessa fragilità di quando mi sentivo impotente di fronte alla grandezza del resto.

Non sto percependo alcun tipo di reddito e mi sto domandando come fare per pagare la scuola che tanto avevo voluto frequentare; certo qualche soldo da parte in questi mesi li ho messi e questo mi permetterà di pagare la tassa, ma poi? La vita, il cibo, l’affitto chi me li paga? Fortunatamente ho delle persone al mio fianco che so che non mi lasceranno sola e mi affido alla campagna lanciata da alcuni sindacati di base per l’ottenimento di un Reddito di quarantena, sperando che ce lo diano e sperando – in questo modo – di andare avanti.

Penso con ancora più fermezza in questo momento a quanto siamo piccole pedine, anime fragili in un sistema enorme che ci lascerebbe morire, a volte non di malattia, ma sicuro di fame.

* Illustrazione di Sara Cardi